Le aree cimiteriali e il rito del passaggio a Venezia e nell’estuario Davide Busato – Piero Pasini

Introduzione

A seguito dell’Editto di Saint Cloud che impose, nella prima fase in Francia e successivamente in Europa, l’obbligo di trasferire i luoghi di sepoltura lontano dalle abitazioni civili istituendo appositi luoghi di sepoltura, vennero chiusi tutti i precedenti cimiteri presenti nelle chiese e monasteri.

Attraverso questo breve saggio si cercherà di approfondire la situazione precedente a tale editto al fine di comprendere quali furono le motivazioni che portarono a scegliere alcune aree cimiteriali anziché altre e come si viveva una città nella quale vi erano sepolture nei pressi delle vie stradali.

Al centro dell’attenzione non sono solo gli aspetti funzionali dei diversi edifici: monasteri, oratori, cappelle e chiese con cura d’anima, ma, soprattutto, le loro relazioni con le stesse aree cimiteriali.

I cimiteri a Venezia

Data la particolare conformazione urbanistica della città di Venezia, anticamente non tutte le chiese parrocchiali avevano un loro cimitero, solo alcune ne possedevano uno esterno che nel tempo diede spesso adito al nascere di specifici toponimi quali “Campo Santo” o “Calle dei Morti”.1

Alcuni cimiteri nel tempo furono soppressi questo a causa dell’ingombro che potevano fare nelle strade, ad esempio quello dei SS. Filippo e Giacomo o perché essendovi stati sepolti cadaveri d’appestati non venivano più utilizzati.2

Ma la nascita di nuovi complessi monastici prevedeva spesso l’occupazione dei terreni circostanti ad uso di area cimiteriale.

Nel 1270 Antonio Pancia, residente a Torcello, offre parte della vigna alle monache di Santa Margherita di Torcello, perchè si facesse un cimitero.3

Anche presso San Girolamo dove sorse un complesso monastico nel 1401 il Capitolo parrocchiale diede il permesso di occupare un terreno di circa metri 80 per 100 destinato alla sepoltura dei parrocchiani o di altri tam de ipsa parochia quam aliunde.4

Infine, nella stessa chiesa parrocchiale di Santa Maria Elisabetta di Lido, attraverso il parroco Francesco Avanzi nel stipulare un contratto con i procuratori del monastero di Sant’Andrea della Certosa,Bernardo Moretta, Giovanni Fagiola e Battista Baldin, siglato dallo stesso Podestà di Malamocco, si richiede che: “passa sei di terra per longhezza e per larghezza situata e contigua alla sudetta Chiesa, che doverà servire, per allargare e constituire Cemeterio per uso necessario della Parochia […]”.5

Se del periodo altomedievale non possediamo documenti utili a ricostruire quali erano le normative che regolavano le sepolture, nel periodo successivo la Repubblica di Venezia dimostrò una particolare sensibilità ai problemi igenico-sanitari, e già nel 1294 nel libro Capricornus del Maggior Consiglio si possono leggere le prime indicazioni inerenti la salute pubblica come l’allontanamento di tutte le attività dannose.6

Nel 1320 si osserva che i corpi dei defunti sepolti provocano “ corruptionem aeris ac fetorem multum”, e veniva costituita al riguardo una commissione di dieci saggi i quali deliberarono che si doveva ricoprire con sabbia “omnia cimiteria civitatis que videbuntur”.7

Per Venezia, come per molte altre città, il morbo della peste creò nuovi modi di condurre la propria vita personale e causò, di conseguenza, anche nuovi modi per il rituale della morte.

In particolare il 3 aprile del 1348 vennero adottate alcune misure straordinarie ed incisive al fine di porre un rimedio all’eccessivo accumulo di cadaveri in città;8a tal proposito, pertanto, il Maggior Consiglio propose per la sepoltura dei corpi di adibire i monasteri di San Leonardo in Fossa Mala e San Marco in Buccalama, per tutti coloro che non avessero dimora o per volontà dei parenti che non volevano farli seppellire in città.

In quest’occasione vennero offerte delle specifiche sulle dimensioni delle fosse stesse, queste dovevano essere il più profondamente possibile, per almeno cinque piedi, al fine di evitare cattivi odori.

A questa data si iniziarono ad usare le isole per i cimiteri fuori della Venetia urbs.

La vastissima diffusione del morbo comportò, però, che dopo il 5 giugno dello stesso anno queste due località divenissero inservibili tanto da scegliere l’isola di Sant’Erasmo e la località di San Martino de Strata per la sepoltura dei cadaveri in eccedenza, specificando che le fosse fossero il più profondo possibili “ ita quod…non possit timeri quod istud inducat aliquid nocumenti”.9

Queste situazioni critiche interessarono, non solo i cimiteri delle chiese parrocchiali, ma soprattutto i monasteri ed i conventi dei nuovi insediamenti mendicanti.10

Seppellendo i cadaveri lontano della città si cercava di limitare il morbo e di creare meno disagio possibile alla popolazione.

Sebbene le isole sopracitate fossero semi-deserte la popolazione che vi risiedeva dovette condividere una realtà alquanto macabra, nonché, affrontare i problemi che da tali scelte si vennero a creare.

Il 2 gennaio del 1348 Nicolò di Sant’Erasmo ebbe in affitto dalla chiesa dei SS. Maria e Donato di Murano un terreno da coltivare nei pressi della chiesa stessa, ma a causa dei cadaveri seppelliti in seguito alle decisioni prese dal Maggior Consiglio, non gli fu possibile coltivarlo iuxta dictum teritorium ad sepeliendum ex quo non modicum detrimentum substulit tam in devastationem dicti territorii sui quam etiam non possendo laborare et facere facta sua de quo danno facta; per i danni subiti il Maggior Consiglio e il Consiglio dei XL decisero, comunque, di rimborsarlo per dieci ducati.11

Con la nascita degli ordini mendicanti e il diffondersi di queste comunità, si assiste alla diffusa pratica di richiedere la propria sepoltura presso i loro cimiteri.

Nel testamento di Bartolomeo residente nell’isola di Sant’Erasmo, datato al 1302 comparirà un lascito ai frati minori di San Francesco del Deserto, nominando soprattutto il monastero di San Giorgio Maggiore, presso il quale farà richiesta di sepoltura.12

Il 27 giugno del 1338 Rezanin13roga il proprio testamento nel quale beneficia in primis il suo commissario tale frate Alberto, priore de Sancta Maria Madalena della Gaiada e Marco pescador da Poveia, in quel momento residente però nella vicina isola di San Lorenzo di Ammiana.

Inoltre, richiede di essere sepolto in un arca nella stessa chiesa dell’isola di Santa Maria della Gaiada.

Il monastero offriva la possibilità di essere sepolti in un luogo beato, ma i testamentari richiedono anche la sicurezza della loro sepoltura, un esempio ci proviene da un testamento datato il 23 settembre del 1497 nel quale Giovanni di Gallipoli, priore dell’Ospedale di San Bartolomeo di Mazzorbo, vuol esser sepolto presso la chiesa delle monache di quell’isola, o a S. Francesco del Deserto “in una archa in qua non aqua sit”, essendo questo un periodo in cui molte di queste strutture erano soggette alle alte maree.14

Le aree cimiteriali nelle isole della laguna erano frequenti, anche quando la parrocchia o il monastero non erano rilevanti.

Nell’isola di San Giacomo in Palude nei pressi della chiesa vi era un cimitero il quale nel 1276 fu beneficiato in un testamento affinché si riparasse il suo muro esterno adiacente alla chiesa.15

Nell’isola di Sant’Erasmo nella parte retrostante la chiesa si estendeva il campo santo, il quale era circondato da un muro e presentava una croce al centro, iuxta eamdem in quo crux in medio, arbores, nulle undique clausum16, mentre, a lato, sorgeva il campanile.17

Spesso vi erano precise indicazioni su chi poteva essere seppellito nei monasteri dei vari ordini monastici, nell’isola della Vigna Murata, ad esempio, nel cimitero della cappella gestita dall’ordine di San Girolamo, prima che tale isola diventasse lazzaretto, non potevano essere seppelliti “cadaveri di sorte se non di loro, e del loro successori che vestirano il medesimo abito”.18

Nella storia delle sepolture nel monastero di Sant’Andrea della Certosa, le aree adibite a sepoltura oltre a quelle presenti nella chiesa coinvolgono altri due luoghi destinati a questa pratica funeraria, il primo di questi era il chiostro Galilea nel quale si potevano seppellire quattro secolari per ogni sesso ed era ubicato preso l’andito; in tale luogo il 26 luglio del 1451 il parroco Tommaso de la Figara chiede di essere sepolto.19

L’altro spazio preposto era il chiostro minore, posto nei pressi della chiesa prospicienti al quale erano tre cappelle nelle quali erano presenti numerosi monumenti.

Nel 1485 la Serenissima istituì i Provveditori alla Sanità con il preciso compito di salvaguardare la salute pubblica.

Il Cecchetti nel suo saggio, funerali e sepolture dei Veneziani antichi,20 descrive alcune usanze nel XIV secolo quale quella di “lasciar sopra terra i cadeveri per un certo tempo; se li troviamo sepolti appena ne parti il soffio della vita; se i testatori raccomandano che la loro spoglia non sia affidata alla terra prima che non sia scorsa, dalla morte, una notte.”

Ma in particolare segnala come gli enti ecclesiastici offrivano la possibilità ai nobili di essere seppelliti all’interno della chiesa.

Tale onore, da quanto si rileva da un atto del patriarca Girolamo Querini del 28 ottobre del 1530, avrebbe dovuto spettare soltanto ai santi, prelati, re, principi, duchi, marchesi, benefattori delle chiese, ed a quelli che vi avevano sepoltura propria.21

Da quanto scritto emerge che i responsabili per i cimiteri erano le stesse parrocchie e gli stessi provveditori alla sanità definirono la regola che non si potesse seppellire nelle chiese senza il permesso, in primis del magistrato stesso, e di conseguenza dei preti, sempre ammesso che non si trattasse di appestati con i quali si usavano ben altri regolamenti.22

La richiesta più diffusa dei testamentari risultava quella di essere seppelliti se non all’interno della chiesa stessa, almeno nei pressi della porta di entrata: Guglielmo Querini nel suo testamento rogato l’11 maggio del 1457 dettava le seguenti volontà: item voglio el mio corpo sia sepelido in la giesia de Sancto Andrea de lido dala Certosa et sia fato una archa non somptuosa apresso la sepoltura del quondam messer Francesco Barbaro el procurator per modo la non sia più alta de la soa da terra: i qual frati priego quanto più posso mi voglia compiacere dela ditta sepoltura e quanto pur non volesse voglio me sia fatto una archa in chiostro in terra più apresso la porta dela chiesia se puol.23

La pratica delle sepolture apud ecclesiam prende corpo fin dai primi secoli d.C. e molto probabilmente faceva leva sulla concezione che la santità del luogo potesse aiutare il defunto nel cammino verso la rinascita.24

Tra le zone che principalmente erano interessate dalle sepolture nel medioevo vi era l’abside, il vestibolo, sub stillicidium ovvero lungo i muri perimetrali della chiesa, nella corte della chiesa e sotto il portico perimetrale della corte.25

All’interno della chiesa il posto più pregiato era il coro, ovvero il luogo più vicino al punto in cui si celebrava la messa.

Infine, numerosi testamenti evidenziano la volontà da parte dei defunti di essere seppelliti nelle cappelle laterali con altari minori, tenendo però presente che non si poteva essere sepolti all’interno bensì solo in prossimità o davanti.26

Non tutti però erano potevano scegliere dove essere seppelliti, in particolare i condannati a morte erano seppelliti in altri cimiteri rispetto alla parrocchia di provenienza, Lorenzo Polani, condannato a morte assieme ad altri tre nobili il 22 settembre del 1513, dopo che la condanna fu eseguita “fo calato zoso e mandato a sepelir, et fo portà a San Rafael”.27

Nicolò Rinaldi, dopo esser stato giustiziato per ordine del consiglio dei X, fu seppellito nel cimitero dei SS. Giovanni e Paolo, il 26 maggio del 1618.28

Con l’avvento degli ordini minori si avvierà la pratica di offrire il servizio della sepoltura anche per le fasce economicamente più deboli.

I cimiteri di San Giobbe, San Geremia e di San Francesco della Vigna furono coinvolti in tale pratica e scelti anche per i periodi di peste, adeo in barche grosse vien mandati a sepelir a San Job, San Jeremia.29

Di fatto la prerogativa per i nobili che decidevano di essere seppelliti all’interno della chiesa si otteneva attraverso una lauta ricompensa che prevedeva spesso, non solo il costo per l’arca nella quale si seppelliva il defunto, bensì, anche per le messe da dire in suo ricordo.

Nel 1746 i nobili fratelli de Lucca, figli di Gasparo, stipulano con la chiesa di Santa Fosca un contratto per un’arca nella chiesa stessa, per riponer li cadaveri de loro genitori, che erano seppelliti nel terreno della chiesa appresso l’altare della Beata Vergine.

Nel contratto si specifica che tale arca dovesse restare in perpetuo a loro disposizione, e ai loro eredi. Per tale servigio i nobili pagano al parroco duecentosessanta ducati, di questi cento dovranno essere impiegati annualmente per dire messa ai morti di Ca’ Lucca, i rimanenti centosessanta saranno usati per spianare, e lustrar il coperto, et il circondario dell’Arca, ed incider nel medesimo le parole ricercate, come aver di vuotar la sudetta arca, e far disoterar li predetti cadaveri, e riporli nella medesima.30

Un ulteriore testamento estremamente esplicito sull’importanza assunta nel rapporto tra la committenza e l’ente ecclesiastico risulta quello datato l’11 febbraio del 1619 nel quale l’arcivescovo di Candia, Alvise Grimani dona mille ducati per una mansionaria e la metà per la costruzione della tomba gentilizia;31morirà nel 1619 ma il testamento sarà completato solo nel febbraio dell’anno successivo.32

Un passo interessante di questo testamento risulta essere quello relativo alla richiesta che il Grimani formulò, ovvero che non possa mai permeter che sia aperta la mia arca, qual voglio sia inarpesata, et se contra farano, voglio che perdano la mansionaria, la qual debbi esser subito transferita alli padri di Santa Maria dell’Orto.33

Gli stessi provveditori alla Sanità decretarono nella seconda metà del XVII secolo i costi per la sepoltura al fine di regolamentare le entrate alla chiesa.

Nel costo per la sepoltura bisogna calcolare anche le spese per il funerale stesso.

Nelle consuetudini e nelle costituzioni della chiesa parrocchiale colleggiata di Sant’Eufemia della Giudecca, nel 1513 troviamo maggiori dettagli sull’aspetto economico dei funerali.

Item de Elemosina quam habemus pro funeralibus quando habemus unum vel plures ducatos pro capitulo damus solidos duodecim diacono et subdiacono solidos sex et solidos duos pro unoquoque clerico. Quando habemus libras tres damus diacono solidos sex et subdiacono solidos tres et pro clerico solidum unum; nihil datur pro patrino nec scrista verum si aliquid datur a facientibus expensas patrino vel domino plebano pro si cui datur.

[…]

Doplenia que a capite et pedibus cadaverum et candeles que ponuntur super cereos portatiles, sunt domini plebanis et non presbiterorum.

[…]

Item de elemosina quam habemus pro sepolturis alicujus defuncti nihil damus Diacono et subdiacono sed dividitur equaliter interdominum plebanum et duos presbiteros modo servatur prout per illustrisimus et revendissimum patriarca statutum est.

[…]

Presbiteri invitati ad funeralia dividuntur in tres partes equales videlicet inter dominum plebanum et duos presbyteros34

Se questo esempio ci illustra gli attori principali coinvolti in questa attività, non si nomina chi materialmente lavorava allo scavo, per i cimiteri delle chiese questa figura coincideva con il “nonzolo”, il quale era “tenuto questi sepelir li cadaveri in persona o col mezzo de’ suoi aiutanti; responsabile o stesso di ogni disordine, obbligato coprirli di terra sul fatto, escavar di tempo in tempo fossoni, occorrendo gettar in essi terra da savoneri e supplir a tutto”.35

Nel 1812 per decreto napoleonico viene soppresso il cimitero della chiesa di Sant’Eufemia, cimitero che confinava con la “scoletta” del cimitero e con la casa stessa del parroco36.

L’ultimo custode che lavorava da oltre quarant’anni, fece richiesta alla stessa Municipalità affinchè ricevesse un reddito sostitutivo, ai sessanta centesimi che percepiva per ogni defunto, supplica che non ebbe, però, alcun risultato.37

Secondo quanto riporta la documentazione storica il personale adibito allo scavo delle fosse nei cimiteri posti nelle isole, quali quella di Sant’Ariano, invece, era reclutato tra gli scoacamini.38

Gli scoacamini, non erano solo coloro che pulivano le canne dei camini, bensì erano nominati con questo appellativo anche chi praticava il mestiere della pulizia delle latrine, identificati anche come chiavennasche.39

Il loro lavoro risultava essere faticoso ma veloce, le dimensioni delle fosse variarono nei secoli e se tra le indicazioni per la peste del XIV secolo dovevano essere almeno cinque piedi nella prima metà del ‘700 il metodo prevedeva che fosse scavato un fosso profondo meno di quattro piedi .

Dopo aver seppellito i cadaveri le suddette fosse venivano coperte di sabbia o di calce, come nel caso di appestati o di terra de saoneri, una terra molto simile all’argilla, la quale sigillava la fossa, evitando, pertanto sia gli odori sia le infiltrazioni nel terreno.40

Tra le varie indicazioni si precisa, inoltre, che non vi fosse la sepoltura in casse di legno,41sebbene questo non avveniva di sovente.

Per tale motivo e per poter creare nuovo spazio da occupare, nel mese di febbraio i cimiteri riservati alle sepolture di massa, quale ad esempio l’isola di Sant’Ariano, venivano “revisionati”, con tale pratica si riscavava tutta l’area cimiteriale, facendo una pila di “crani et ossa”, e separando il legname delle casse il quale veniva bruciato.

In un angolo del cimitero si scavava una fossa profondata tanto da contenere tutte le ossa ricavate nella prima fase e la si ricopriva con terra.

In un ulteriore area di scavava un fosso largo sei piedi e profondo almeno quattro nel quale si ponevano i nuovi cadaveri senza, però, seppellirli nuovamente nelle casse di legno, questo si rileva nella documentazione settecentesca42.

In città la situazione non doveva essere molto diversa sebbene si utilizzassero spesso le casse di legno.

Nei primi anni dell’Ottocento il commissario di Polizia del sestiere di Dorsoduro diffida il “nonzolo” della chiesa del Redentore a seppellire nel cimitero di Sant’Eufemia, bensì di trasportare i corpi nel cimitero di San Pietro di Castello o in quello di San Giobbe. 43

Tale richiesta sorgeva dalle precarie condizioni sanitarie che si erano venute a creare nel cimitero suddetto, condizioni che si presentavano anche nell’oratorio, locale adiacente al cimitero, dove vi erano altre sepolture.44

In particolare il delegato visitando il cimitero di Sant’Eufemia rileva che “che nell’oratorio, che precede appunto il cimiterio di cui si tratta vi esistono ventisei arche formate in terra colla semplice divisione di alcune travi poste per lungo e per treccio e colle coperte o suolo di pure tavole di abete tutte infracidite e pressochè polverizzate; […].45

Se quanto scritto è applicabile alle sepolture del popolo risulta necessario sottolineare come vi fosse una notevole diversità sul rito del passaggio per i nobili.

Utile per i dettagli forniti risulta essere il testamento del nobile Marco Mauroceno46, il quale nel gennaio del 1492 indicava “el mio corpo vestito del suo habito secondo che ordenerà el padre prior et dapoi posto in una cassa de tavoli ben ficada et impegolada sia conduto al ditto monasterio con ditti preti […] et fatto l’offitio le quatro torze rimangano ala Capela vel altar Grando id est ala celebration de la messa Granda quomdie comenzado subito et poi siano tutti licentiati et la cassa del corpo sia posto et sepolto dentro la mia Capella nuova […] Item lasso che la mia capella sia del tutto compita secondo che parerà ali mei comissarij con messer prior li qual voglio che i habia pronta la mia vesta de veludo alto basso cremesin et quella de veludo pian cremesin et se li possa fare pianede dalmatiche et uno pivial de veludo pian.”

Il testamento descrive gli abiti per la cerimonia e gli obblighi di celebrare la messa, infine, descrive l’arca: “el resto voglio che sia messo in tanto stabelle et renda utilitade al monasterio de Sancto Andrea de lido dove voglio che siano posti li corpi de mio padre, mio fratello et mio in l’archa che se la apar nel compir dela capella per la prima cossa che si fazi et cussì voglio che la ditta archa sia compita insieme con la capella et posta in el mezo del pian dela capella fato de lastre de marmoro che sono a Venetia ne la mia caxa de San Thoma con i frixi de piera negra che sono nel magazin. Et poi un’altra medesima de piera mandolada che sono da uno piede et laltro di fuori sula cale avanti la ditta caxa et tutte schiete et basso con la sua arma schieta et bassa lastre che pareno a cui lavora a far in demostration de padre e fioli zoè misser Polo padre, Piero et Mario fioli.”

Le arche era poste all’interno delle cappelle che venivano costruite ponendo molta attenzione ai fregi e ai materiali usati, nel testamento Antonio Vinciguerra, segretario Ducale, si sottolinea che tale struttura dovesse “dita Capella de longitudine quatuordecim pedibus pro latera et quod sit fabricatam cum quatuor archis cum una cubina sicut sit eclesia Sancti Marci sine nullo labore nisi cum lapide cotta et unus de illis archis versus manu destra sit positus unus cofanus lapide viva laborato et quod sit factum unum epitafium sed ipse testatum faciat aut ordinabit domino priore dicti loci dicte ecclesie et post factum cofinum ditte lapide voluit quod sit sepultum et positum intus”.47

Un ulteriore caso particolare fu la descrizione del corpo riesumato nel 1512 del Vescovo di Feltre, Antonio Pizzamano, racconto di Marin Sanudo il quale afferma che quando riesumarono il corpo per riporlo nella cappella all’interno della chiesa “nel levar la cassa si rupe parte di quella, e fu visto el corpo integro […] e trovato el corpo integro con li abiti da vescovo, videlicet calze damaschin bianche integre, vanti in man e la mitria ilesa.48

Tale Domenico Pittone, custode dell’Ospedale Cha di Dio, ospizio dei Certosini, nel 1758 richiede al superiore della Certosa, di essere sepolto nel loro cimitero, o mi sia fatta promissione di gratiarmi, così lascio, o voglio di esser sepolto in quel Sacro Chiostro o se mi verrà concesso, qualcosa molto desidero, di essere vestito del loro abito.49

Bibliografia.

Cecchetti B., Funerali e sepolture dei Veneziani antichi, AV, XXXIV, (1887),

Tassini G., 1990

Insula giugno 1999, anno II, Insula del Ghetto,

Spada, Leggi Veneziane sulle industrie chimiche…, cit., p. 4:

Dorigo W., Venezia Romanica, 2003, I

Mallegni F., Memorie dal sottosuolo e dintorni, Pisa, Edizioni Plus, 2005,

Sanudo M., I Diarii ( 1496-1533), pagine scelte, a c. di P. Margaroli, Vicenza, Neri Pozza Editori, 1997,

Vanzan Marchini E., Le leggi di sanità della Repubblica di Venezia, Treviso, Canova 2000

Archivio Patriarcale di Venezia ( APV):

Santi Ermagora e Fortunato, Fabbriceria, Atti generali, b. 13

S. Eufemia, fabbriceria di S. Eufemia, atti generali, b. 12; registri Cassa, b. 8

Episcopati Lagunari, Torcello, visite pastorali, b. 2.

Archivio Municipale di Venezia ( AMV ):

AMV, Cimiteri I anno 1812, Cimiteri di S. Pietro, S. Stefano, S. Giobbe, e S. Eufemia

Archivio di Stato di Venezia ( ASVe):

S. Andrea di Lido, Catastici, b. 2.

Maggior Consiglio, l.spiritus, 3 aprile 1348 c. 156

Grazie, b. 12.

Podesta di Torcello, b. 18.

Cancelleria Inferiore Notai, b. 106

San Giorgio Maggiore, b. 9.

Archivio Parrocchia SS. Maria e Donato ( APSSMD )

Murano- Ve, processo 35 Parrocchia di Sant’Erasmo.

1 G. Tassini, Curiosità veneziane, ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia, Ristampa, Venezia 1990, p. 167.

2 Ibid..

3ASVe, Santa Margherita di Torcello, b. 2 pergg., 6 maggio1270 , Torcello.

4 Insula del Ghetto, Quaderni di Insula, Venezia anno II ( giugno 1999), p. 13.

5 ASVe, S.And.L., b. 5. Affittanze, lett. A; Parti del Senato, Terminazioni, lett. B; Istromenti diversi, lett. C. Dell’Elenco Mazzo II. Fasc. V. 1657. Livello con la Chiesa et ortolani del Lido. N° 1067.

6 Spada, Leggi Veneziane sulle industrie chimiche…, cit., p. 4: “ die ultimo octubris. Cum extrahantur Cimentum et Cineracij in terra ista ad plumbum et ad Cletam et ad alia que fiaciunt fumum male sanum et hoc fiat ubi homines volunt in hac terra, Capta fuit pars, quod hoc non possit fieri decetero in Civitate Rivoalti excepto si fieret circa paludes in tali loci ubi non possit inducere nocumentum sanitatis, Et hoc sub penam soldorum X grossorum qualibet vice quam fuerit contrafactum et est capta intre XL.”.

7 W. Dorigo, Venezia Romanica, Verona 2003, I, p. 438.

8 Dorigo, Venezia Romanica…, cit.,I , p. 438.

9 ASVe, M.C. l.spiritus, 3 aprile 1348 c. 156: “ Die V. Iuni. Capta Cum dicatur, per homines, qui cognoscunt loca Sancti Marci Bochalama, et Sancti Leonardi Fossamale, quod ipsa loca non sunt capacia ad recipiendum Corpora mortuorum, que illur defferuntur, ec timeatur, nisi de alio remedio provideatur, quod sinistru posses accidere in dictis locis, quod foret augmentum corruptionis instatis: Vadit Pars, quod remaneat in libertate Capitum Sexterioriorum faciendi sepeliri Cadavera defunctorum in dictis Locis, et in Sancto Rasmo, et in Sancto Martino de Strata, et omnia, ec partem eorum, sicut dictis Capitibus videbitur, faciendo fieri foueas in Sancti Erasmimo quanto magis subtus Terram fieri poterit pro maiori evitatione omnis fetoris, cum dicatur, quod illi qui sepeliuntur in Sabulo cito consumuntur. Ita quod Deo Previo, non potest timeri, quod istud inducat aliquod nocumentum. Et si Consiliu est contra sit revocatu”.

Sull’argomento cfr. Brunetti, Venezia durante la peste…, cit.,p. 294.

10 Dorigo, Venezia Romanica…, cit.,I , p. 438.

11 ASVe, Grazie, b. 12, 1348 c.32v; D. Busato, Metamorfosi di un litorale, Venezia 2006.

12 ASVe, Proc..Mist., b. 315 (Bartolomeo dal lido di S. Erasmo 1302, 21 giugno Rialto): “Et dimitto monasterii Sancti Çachariæ de Venetiis soldos quadragita, et dimitto monasterii Sancti Georgii Maioris de Venetiis soldos quinque denariorum venecialium grossis apud quod meam eligo sepulturam ”.

13 ASVe, Pdt, b. 18 reg. 2 (1337-38) [c.95r]

14 B. Cecchetti, Funerali e sepolture dei Veneziani antichi, AV, XXXIV, (1887), p. 265.

15 ASVe, Canc. Inf. Not., b. 106 Marco prete di San Grisostomo (1371-1306).

16 APV, Episcopati Lagunari, Torcello, visite pastorali, b. 2, anno 1687, c.248.

17 APSSMD, Murano- Ve, processo 35 Parrocchia di Sant’Erasmo, fasc. cinque, 28 maggio 1816 asta pubblica.

18 ASVe, San Giorgio Maggiore, b. 9 1415 28 Agosto.

19 ASVe, S.And.L., Catastici, b. 2, Vallonga, Codevigo c. 43 v.

20 B. Cecchetti, Funerali e sepolture dei Veneziani antichi, Archivio Veneto, XXXIV (1887), p. 265.

21 G. Tassini, Curiosità veneziane, ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia, Rist., Venezia 1990, p. 167.

22 N.E. Vanzan Marchini, Le leggi di sanità della Repubblica di Venezia, Vicenza 1995, I, p. 407″: 1684, 16 marzo – not. 23,c. 13r. Proibito a qualunque persona il poner mano né pavimenti delle chiese senza licenza del Magistrato; questa sia accordata in vista fedi piovani, sacrestani o curati, indicante non esser stato giammai sepolto alcun cadavere infetto da contaggio nel luogo in cui devesi operare.”

23 ASVe, S. Andrea di Lido, Catastici, b. 2, Reg. Vallonga, Codevigo, c. 47 v.

24 F. Mallegni, Memorie dal sottosuolo e dintorni, Pisa 2005, p. 26.

25 Ibid., p. 27.

26 Ibid..

27 M. Sanudo, I Diarii ( 1496-1533), pagine scelte, a c. di P. Margaroli, Vicenza 1997, p. 233.

28 ASVe, Miscellanea Codici, I° Serie, nr. 75, Raccolta di tutti quelli per la Serenissima Dominante di Venezia furono sentenziati a Morte con alcune annotazioni delle loro colpe dall’anno 810.

29 M. Sanudo, I Diarii ( 1496-1533), pagine scelte, a c. di P. Margaroli, Vicenza 1997, p. 535.

30 APV, Santi Ermagora e Fortunato, Fabbriceria, Atti generali, b. 13, B aggiunta al catastico della veneranda chiesa di Santa Fosca.

31 ASVe, S.And.L., Catastici , b. 2, “Catastico degli eremitani della Certosa di Venezia”.

32 ASVe, S.And.L., b. 50, Atti diversi, 1660 – 1701, Fasc. 1660 – 69.

33 ASVe, S.And.L., b. 9, Testamenti, titoli di Mansionarie e Legati, 1432 – 1804. Dall’elenco Mazzo IV, fasc. 1004. Arcivescovo Grimani, c. 1 r.. Vedi anche ASVe, S.And.L., b. 50, Atti diversi, 1660 – 1701, Fasc. 1660 – 69.

34 ASP, Capitolo chiesa di Sant’Eufemia, registri cassa, reg. 8, c. 309 v.

35 N.E. Vanzan Marchini, Le leggi di sanità della Repubblica di Venezia, Vicenza 2000, III, p. 74: “1727, 9 agosto – not. 29, c. 106. Chiavi cimiterio S. Francesco Vigna siano consegnate da quel sacrestano al solo nonzolo della chiesa. Tenuto questi sepelir li cadaveri in persona o col mezzo de’ suoi aiutanti; responsabile o stesso di ogni disordine, obbligato coprirli di terra sul fatto, escavar di tempo in tempo fossoni, occorrendo gettar in essi terra da savoneri e supplir a tutto. Egli solo e suoi agenti possano impiegarsi in tali funzioni, in pena ecc.”.

36 APV, Parrocchia di S. Eufemia, fabbriceria di S. Eufemia, atti generali, b. 12, scuola Santissimo Sacramento, Fabbriceria di S. Eufemia in Venezia Titolo VIII fascicolo 3 oggetto censo stabile.

Nr. 27323/3024. Per ordine dell’eccelso IR Governo s’invita cod.ta Fabbriceria Parrochiale a riferire entro otto giorni impreteribilmente se nella chiesa da essa amministrata esservi un locale ad uso di cella mortuaria, se sia unito o separato dalla chiesa e se in questo secondo caso codesta fabbriceria paghi le relative imposte[…].”

Il 10 febbraio 1848 […] esservi un locale servente per cella mortuaria separato dalla chiesa ed attiguo al soppresso cimitero.

Tale locale è delineato dalla mappa del censo stabile di questo comune censuario colla lettera G. avente superficie di centesimi 11 e forma parte dei beni esclusi dall’estimo per cui la scrivente non paga l’imposta relativa.

37 AMV, Cimiteri I anno 1812, Cimiteri di S. Pietro, S. Stefano, S. Giobbe, e S. Eufemia

N° 5683 pres.te 20 Marzo 1812

Al Podestà di Venezia da parte di Giovan Battista Zorzetti custode del cimitero di Sant’Eufemia.

[…] il custode Gio’ Batta Zorzetti fu per il corso di anni 40 del cimiterio di S.ta Euffemia della Giudecca, ed ognuno che veneva colà sotterrato percepiva esso centesimi 60, ora che più non esiste detto cimiterio, resta privo di questo soccorso.

L’età sua avanzata di anni 72 con la moglie di pari età, e sprovvisto d’ogni altro soccorso è forte motivo per cui si presenta a lei Sig. Cav.e comendatore, implorando la grazia di essere in qualche modo beneficato questo poco di vita, che le rimane, mentre che esso non mancherà con la sua miserabile consorte di porger fervide preci a S.D. M per le maggiori felicità, di chi rappresenta l’ava Gristissimo nostro Monarca. Grazie”.

38 Le leggi di Sanità…, III, p. 74: ”1664, 14 detto ibidem c. 169 Si portino sul luogo li scopacamini, escavino una fossa fonda, in essa ripongano li pezzi de’ insepolti ben sotterrandoli. Le ossa arride siano stivate. Eseguino lavoro, avvertano Magistrato per esse sodisfatti.”

39 TASSINI, 1990, p. 587.

40 N.E. Vanzan Marchini, Le leggi di sanità della Repubblica di Venezia, Vicenza 2000, III, p. 74.

41 N.E. Vanzan Marchini, Le leggi di sanità della Repubblica di Venezia, Vicenza 1995, I, p. 407.

42 N.E. Vanzan Marchini, Le leggi di sanità della Repubblica di Venezia, Vicenza 1995, I, p. 407: “ 1719, 24 detto ibidem,c. 240t.

43 AMV, Cimiteri I anno 1812, Cimiteri di S. Pietro, S. Stefano, S. Giobbe, e S. Eufemia :

Venezia 8 marzo 1812. Il Commissario di Polizia del sestiere di Dorsoduro. In esecutione dell’ossequiata di lei ordinanza sig. co. Podestà de li corrente nr. 2911 ho diffidato il nonzolo del santissimo Redentore a non più eseguire tumulazioni nel cimitero di Sant’Eufemia, dovendo li cadaveri essere invece trasportati, o nel cimitero di S. Pietro di Castello, o in quello di San Giobbe, ritenuta la disciplina di non eseguirne il trasporto, se non se o nell’imbrunire della notte, o nel cominciare del giorno […].

44 AMV, Cimiteri I anno 1812, Cimiteri di S. Pietro, S. Stefano, S. Giobbe, e S. Eufemia.

45 AMV, Cimiteri I anno 1812, Cimiteri di S. Pietro, S. Stefano, S. Giobbe, e S. Eufemia.

46 ASVe, S. Andrea di Lido, Catastici, b. 2, Reg. Vallonga, Codevigo, c. 94 v. Testamento Marco Mauroceno, gennaio 1492.

47 ASVe, S. Andrea di Lido, Catastici, b. 2, Reg. Vallonga, Codevigo, c. 98 v. Testamento Antonio Vinciguerra, 3 dicembre 1502.

48 M. Sanudo, I Diarii ( 1496-1533), pagine scelte, a c. di P. Margaroli, Vicenza 1997, p. 360.

49 ASVe, S.And.L, b. 9, Fasc. XVII. Testamento del quondam signor Domenico Pittoni fù custode dell’ospizio in Città di questa Certosa di Venezia, c. 3 r..

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